Parcellizzazione della malattia e spersonalizzazione del malato
Negli ultimi anni la malattia di mia figlia ha fatto sì che passassi molto più tempo negli ospedali che a casa, rincorrendo una diagnosi che ha richiesto ricoveri sempre più lunghi e indagini sempre più specialistiche.
Il presente lavoro nasce da questa esperienza, dal senso di alienazione indotto dal continuo ripetersi di giorni e notti sempre uguali, scanditi da esami e accertamenti spesso infruttuosi o da lunghe ore in attesa di visite in perenne ritardo; ma anche da un approccio medico che, specie in ambito ospedaliero, appare sempre più improntato alla parcellizzazione delle competenze e a una visione del paziente settoriale e frammentata.
Un approccio sicuramente coerente con il modello desease centred, imperante nella medicina occidentale contemporanea, che definisce la malattia in termini di mera alterazione di parametri biologici, ma che nel ridurre la diagnosi alla corrispondenza di determinati sintomi a una griglia di elementi codificati in una serie predefinita di protocolli, finisce per demandare la diagnosi a una serie di accertamenti specialistici sempre più specifici e non comunicanti, e in definitiva per perdere di vista il paziente nella sua interezza e umanità.
Il titolo trae spunto dalla domanda rivolta al malato all’inizio di ogni iter diagnostico ospedaliero “in una scala da 1 a 10, quanto dolore hai?”, e divenuta negli anni vero e proprio parametro di valutazione anche per ogni controllo, secondo una scala standard predefinita uguale per tutti i pazienti.
Le fotografie che compongono il progetto puntano a rappresentare visivamente l’immagine che del malato viene rimandata dall’approccio medico contemporaneo; in esse la struttura ospedaliera (i suoi ambienti, il suo personale medico e paramedico, la dieta e le terapie somministrate) viene utilizzata come specchio per riflettere la visione parcellizzata della malattia e la ripetitività alienante del suo iter diagnostico.
Ogni aspetto del ricovero viene rappresentato utilizzando la stessa lente attraverso cui viene studiato il malato e al pari del malato ne esce scomposto e rappresentato in modo sia seriale sia frazionato: non siamo chiamati a vedere una sala d’attesa ma vari elementi propri di quell’ambiente; non osserviamo una terapia farmacologica ma le singole compresse in cui questa si sostanzia; non riconosciamo il personale sanitario ma solo singole parti della divisa; etc.
La mia scelta è stata quella di rappresentare spazi, persone e terapie secondo una logica di frazionamento o di catalogazione seriale. Il frazionamento tende a evidenziare la scomposizione di un unicum in parti isolate e non comunicanti; la serialità, invece, a sottolineare le ripetitività e alienazione dell’iter diagnostico cui è sottoposto il paziente, specie in occasione delle degenze.
Due sono le modalità, ma medesimo l’effetto: la spersonalizzazione della struttura sanitaria, ridotta da luogo di cura e assistenza del malato a erogatore automatico di servizi, in una visione parallela e speculare alla scomposizione subita dal paziente, ridotto da malato a un insieme complesso di organi autonomi e non comunicanti.
*progetto realizzato e stampato nel giugno 2018, al termine del percorso formativo presso il CFP Bauer di Milano.